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In the Name of God
Tipo di progetto
Installazione site specific
Data
18 settembre 2025
Luogo
Ramo d'Oro, Galleria Umberto I, Torino
Studio Nucleo presenta In The Name of God, un’installazione site-specific realizzata in collaborazione con Ramo d’Oro a Torino: un intervento simbolico che affronta il tema della responsabilità collettiva in un periodo storico segnato dall’intensificarsi dei conflitti bellici, sia a livello globale che locale. Dall’Ucraina al massacro di Gaza, a cui assistiamo impotenti ormai da quasi due anni, la violenza ha da tempo smesso di essere una realtà distante: si insinua nei nostri schermi, nei pensieri, nella quotidianità. Non sono gli unici scenari di crisi, ma rappresentano in modo emblematico come questa condizione sia ormai una presenza concreta, pervasiva e impossibile da ignorare.
In questo scenario di proliferazione della violenza, Studio Nucleo, guidato da Piergiorgio Robino — la cui pratica, all’intersezione tra arte, design e architettura, è nota per il suo approccio sperimentale — propone un’opera che invita a fermarsi e a osservare. L’installazione presenta due repliche di missili GMLSR creati per i sistemi lanciarazzi HIMARS, oggetti dal chiaro scopo bellico, trasfigurati in forme ibride che dissolvono i confini tra scultura e design.
Sospesi al soffitto nella storica Galleria Umberto I — uno spazio rimasto pressoché intatto dalla fine degli anni ’40, portatore di un’eredità di devastazione e abbandono — gli oggetti di Studio Nucleo formano una croce, evocando un simbolo universale di sacrificio che, in questo contesto, assume connotazioni di ambiguità ideologica. Anche il titolo In the Name of God allude alla strumentalizzazione di religione, identità ed etica come giustificazioni della sopraffazione e della brutalità. Ma il potere non è solo spirituale: accanto alla fede, agisce il capitale. Come afferma l’artista, «In nome di Dio si combatte ancora. Ma il Dio contemporaneo non porta stigmate, non parla per parabole. Ha la forma del capitale, la voce del mercato, la croce del dominio».
La manipolazione della storia — tra presente e futuro, reale e immaginario — è da sempre al centro delle sperimentazioni di Studio Nucleo. Le loro opere giocano con accumuli e stratificazioni temporali, scavando nel senso più profondo del tempo. Non è un caso che questa installazione nasca in uno spazio carico di memorie sovrapposte: un luogo sedimentato che amplifica la forza evocativa del lavoro, creando un dialogo tra le tracce tangibili del passato e le tensioni morali del presente. In un periodo storico in cui la violenza viene consumata e invisibilizzata, Studio Nucleo invita alla lentezza, all’ascolto.
In the Name of God è un gesto artistico e politico che va oltre la semplice celebrazione pacifista o la sua retorica romanticizzata — un ideale che, nella realtà, rappresenta un privilegio non accessibile a tuttə. L’opera invita a riflettere sulla fragilità e sulle manipolazioni politiche del concetto di pace, evidenziandone le contraddizioni all’interno della società neoliberale contemporanea.
Così la vittoria totale fa allontanare la pace
di Salvatore Settis
Due guerre mondiali non sono bastate all’Europa. Di fronte agli scenari di guerra che ci assediano, uno in piena Europa e l’altro alle sue porte, i nostri governi, incluso quello dell’Unione, non sentono l’urgenza della pace ma scelgono per chi parteggiare nella guerra. Con Zelensky contro Putin (ma non tutti sono d’accordo, e chi lo è s’industria a evidenziare differenze e sfumature), con Israele contro Hamas oppure –e qui le divisioni si fanno più frequenti, più forti—coi palestinesi contro Israele. Come se questo, e questo solo, fosse il bivio: scegliere a chi dar ragione e a chi dar torto. Prendere le parti di uno dei contendenti è ovviamente più che comprensibile, ma il vero bivio che sfida la nostra responsabilità come cittadini (e non solo quella dei governi) è fra la guerra e la pace. Il rischio che i conflitti si estendano (basti pensare all’Iran) è sempre più grande, il ricorso alle armi atomiche sempre meno lontano. Prende piede l’ipotesi che altri conflitti nascano nelle zone più “calde” del pianeta, e che la mappa delle guerre si complichi e si trasformi in una conflagrazione mondiale.
Eppure l’UE, e molti governi nazionali fra cui il nostro, allungano i tempi della guerra russo-ucraina con ingenti forniture di armi, e sposano (o dicono di sposare) in toto la linea di Zelensky, una vittoria assoluta sempre dietro l’angolo. Come se non si sapesse che una vittoria totale (dell’uno o dell’altro) è impossibile. Non mancano voci autorevoli, e fra queste soprattutto il Papa, che si prodigano in favore della pace. Ma non vi sarà mai pace senza negoziati prevedibilmente complessi, a esito dei quali –questa la lezione di millenni di storia umana – ognuno dei contendenti dovrà fare qualche passo indietro per poter fare qualche passo avanti. È giusto parteggiare per questo o per quello, anche in una guerra: ma fra le parti terze solo chi sa esercitare in proprio una decisiva influenza negoziale può ottenere qualche risultato. L’Unione Europea nacque sulle macerie e i morti della guerra 1939-45, e nacque proprio per creare in Europa uno spazio di pace e una cultura della pace: ma gli sforzi per la pace di chi oggi la governa, ma anche dei governi nazionali, sono desultori, inefficaci, qualche volta ridicoli. È un fallimento epocale, ed è vano tapparsi gli occhi per non vedere: chi non vuol capire oggi dovrà capire domani, dovrà arrampicarsi sugli specchi per non ammettere la propria cecità.
L’ansia con cui i nostri governi trattengono il fiato aspettando l’esito, tra poche settimane, delle elezioni americane è una cartina di tornasole di questa rinuncia alla via diplomatica e negoziale della pace, che vale l’abdicazione dell’Unione alla propria missione. Molti, e speriamo non tutti, sembrano pronti a riorientare le proprie scelte a seconda di chi sarà il nuovo presidente USA. La speranza che l’Unione potesse trovare una voce propria, anche dentro la NATO, si è svuotata: ma questo non rafforza l’alleanza atlantica, la indebolisce riducendola a una forma di lealismo al Grande Fratello americano, che intanto vacilla in preda a una crisi di democrazia sempre più marcata (la New Rome dell’ultimo film di Coppola, Megalopolis). Le linee di separazione fra osservanze ormai antiche (la destra, la sinistra) ondeggiano ogni giorno di più: gli atlantisti più fedeli si trovano spesso a “sinistra”, i (timidi) critici della NATO a “destra” in molti Stati dell’Unione, ma spesso in nome di rozzi sovranismi locali. Ma l’Unione come tale non trova una voce propria, anzi nemmeno la cerca. Come aspettasse il La da oltre Oceano.
Ci stiamo gradualmente assuefacendo a un’economia di guerra, e nemmeno ci poniamo l’antica domanda del «cui prodest?». Troviamo normale che enormi spese pubbliche vadano in armamenti, sia sul nostro suolo che in Ucraina, a scapito della sanità, della scuola, del controllo idrologico e geologico del territorio, della ricerca, della cultura, della vita stessa della nazione. Cresce la disoccupazione, si allargano (diagnosi ISTAT) le frange di povertà, calano la natalità e la speranza di vita. Questa deriva conviene, si capisce, a chi fabbrica le armi e le vende. Conviene a chi, mancando di qualsiasi altra nozione o idea, sbandiera slogan xenofobi per raccogliere manciate di voti inconsapevoli. Conviene a chi occupa il potere e lotta strenuamente per conservarlo, in una guerra di posizione miope e irresponsabile, fatta di slogan e non di pensiero.
La riluttanza, per non dire incapacità, di fronte al grande e lungimirante tema della pace in Europa (e non solo) è il peccato originale da cui discende questo nostro concentrarci su risse di cortile, il micromanagement della politica, l’inabilità di mettere in discussione prassi e priorità pigramente ereditate da decenni di esitanti governi, la geometria variabile dei partiti e delle appartenenze, il piccolo cabotaggio di una ‘governabilità’ di comodo. Intanto, in nome di una pigra Realpolitik il discorso politico è dominato da un atlantismo di maniera che evoca fuori stagione l’imperialismo sovietico, non senza nostalgia per la cortina di ferro che non c’è più. È questa fedeltà atlantica ribadita come una giaculatoria che impedisce di cogliere il nesso strettissimo fra politica estera e politica interna. L’opzione per una guerra esterna che fomentiamo senza sospettare che può dilagare anche “a casa nostra” impedisce d’intendere il fallimento dell’Unione Europea di cui continuiamo a celebrare stancamente la mera esistenza in vita, senza volerne vedere la fragilità e le malattie.
Solo un’energica azione per la pace mediante il negoziato, in Medio Oriente come in Ucraina, potrebbe interrompere questo perverso circolo vizioso. Ma in Europa (salvo che in Vaticano) non se ne vede traccia.
In the Name of God (Manifesto) by Studio Nucleo
Studio Nucleo, 2025
Un missile in croce.
Forma sacrificale e oggetto di potere.
Simbolo di fede e dispositivo di controllo.
Reliquia futura di una religione presente: la guerra.
L’opera si colloca in una tradizione antica, che attraversa i secoli e cambia volto:
dalle Crociate all’attuale situazione geopolitica,
dal martirio alla deterrenza,
dalla salvezza delle anime alla sicurezza delle economie.
In nome di Dio — si combatteva.
In nome di Dio — si combatte ancora.
Ma il Dio contemporaneo non porta stigmate, non parla per parabole.
Ha la forma del capitale, la voce del mercato, la croce del dominio.
I missili esposti, messi in croce, non sono armi disinnescate:
sono affermazioni visive.
Non invocano la pace.
Denunciano l’ordine.
Mettono a nudo l’alleanza tra religione e strategia, tra morale e conquista.
Il progetto prende corpo nel Palazzo dei Cavalieri dell’Ordine Mauriziano.
Un luogo impregnato di memoria:
ospedale, chiesa, sede dinastica.
Lì dove si curavano i corpi feriti dalle guerre sante,
oggi si espongono le forme della guerra secolare.
L’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro nacque dalla fusione di due vocazioni:
la croce e la cura.
L’assistenza ai lebbrosi nei pellegrinaggi in Terra Santa,
la cavalleria cristiana sotto l’egida dei Savoia.
Lì, dove un tempo si predicava la redenzione,
oggi si espone la condanna.
Una croce svuotata,
un martirio rovesciato.
Una luce che non salva, ma rivela.
In the Name of God (L’intenzione progettuale) by Studio Nucleo
Oggi, molti leader mondiali, con il destino del nostro pianeta nelle loro mani, parlano di guerra con la stessa leggerezza di una partita sportiva.
Ma la posta in gioco non potrebbe essere più alta. Le bombe cadono senza sosta, massacro dopo massacro. Il conflitto non è più confinato a regioni lontane; si sta avvicinando sempre di più alle nostre città e alle nostre case.
Mentre mancano i fondi per i bisogni essenziali, flussi infiniti di denaro vengono riversati in armi, missili e guerre che arricchiscono solo le lobby, le mafie e i mercanti di morte. È davvero questo il futuro che vogliamo?
Nel 2014, si combatteva nel Donbass. Oggi, i missili esplodono a Kyiv e a Mosca.
Da un anno assistiamo al massacro a Gaza, e ora temiamo il peggio in Cisgiordania, in Libano e in tutto il Medio Oriente.È un’escalation senza sosta. Di questo passo, gli orrori che guardiamo con riluttanza in televisione potrebbero presto diventare la nostra quotidianità.
La guerra trattata con la stessa leggerezza di una partita sportiva, ma la posta in gioco non potrebbe essere più alta. Le bombe cadono senza tregua, massacro dopo massacro. Il conflitto non è più confinato a regioni lontane: si avvicina sempre di più alle nostre città, alle nostre case.Come designer e come artisti, crediamo sia fondamentale portare luce nelle menti delle persone. È un appello alla consapevolezza, un grido per la sopravvivenza.
Se vogliamo evitare l’impensabile —UN’ALTRA GUERRA MONDIALE—La pace deve tornare a essere la nostra massima priorità. Non si tratta solo di un imperativo morale; è una scelta essenziale per la sopravvivenza dei nostri figli, dell’Europa e dell’umanità intera. Ispirandoci alle dimensioni dei razzi militari GMLSR creati per i sistemi lanciarazzi HIMARS, li abbiamo ricreati come lampade a sospensione, stampate in 3D con bio-plastica.
Questi razzi non vogliono celebrare il potere, ma denunciare l’insensatezza della guerra moderna. Abbiamo scelto di mostrarli in scala reale perché solo vedendo le loro reali dimensioni le persone possono iniziare a comprendere l’inquietante realtà del loro potere distruttivo. Queste armi imponenti non sono strumenti di pace; sono strumenti di morte, concepiti unicamente per distruggere.
Presentando questi missili come oggetti quotidiani, vogliamo mettere lo spettatore di fronte a una verità scomoda: è impossibile che qualcosa di così grande, così distruttivo, possa mai portare pace. Missili di queste dimensioni sono costruiti per un solo scopo — la morte. Annientano tutto ciò che incontrano, lasciando dietro di sé un’eredità di devastazione, non di soluzione.
In the Name of God è un progetto che illumina la via verso la sopravvivenza non è solo un progetto artistico è una dichiarazione audace.
Mettere la pace al di sopra di tutto significa mettere da parte gli interessi che ci hanno trascinati in questa guerra perpetua. È una responsabilità che ricade su tutti noi — leader, politici, istituzioni, società civile e cittadini.
Perché ogni persona ha il potere di fare la pace, ogni giorno, in ogni momento.
La missione di In the Name of God è quindi un appello all’azione è il riflesso della nostra responsabilità: usare la creatività per sfidare, mettere in discussione e stimolare una riflessione sul mondo in cui viviamo.
Ma soprattutto per evitare che le le prossime bombe siano vere.
Studio Nucleo è un collettivo di artisti e designer diretto da Piergiorgio Robino con sede a Torino. Attivo nei campi dell’arte contemporanea, del design e dell’architettura, il collettivo si distingue per una ricerca che unisce sperimentazione materica e linguaggi interdisciplinari. I progetti di Studio Nucleo sono stati esposti a livello internazionale in importanti istituzioni: nei Paesi Bassi (Stedelijk Museum, Amsterdam, 2017), in Svizzera (Centre d’Art Contemporain, Ginevra, 2016), in Italia (Triennale Design Museum, Milano, 2014; MART – Museo di Arte Moderna e Contemporanea, Rovereto, 2013; Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino, 2009), in Brasile (Museu Nacional do Conjunto Cultural da República, Brasília, 2008), in Germania (Museum für Kunst und Gewerbe, Amburgo, 2005), in Spagna (MARCO – Museo de Arte Contemporáneo, Vigo, 2005), in Francia (Centre Georges Pompidou, Parigi, 2004) e negli Stati Uniti (Carnegie Museum of Art, Pittsburgh, 2004; Chelsea Art Museum, New York, 2004; Walker Art Center, Minneapolis, 2003). Studio Nucleo ha inoltre partecipato a fiere internazionali di primo piano dedicate all’arte e al design.
Il Ramo d’Oro è un centro culturale nato nel 2025 all’interno della storica Galleria Umberto I di Torino. Fonde un bistrot enogastronomico a una programmazione ricca di arti e linguaggi contemporanei, resiste all’assedio di ciò che non sarebbe mai stato per mostrare quanto il tempo possa accogliere il possibile e il sognabile. Un autentico luogo di sperimentazione con bistrot e cocktail bar, dove la memoria simbolica della tradizione incontra l’attenzione al contemporaneo per stanare mondi e stagioni di questa generazione. Una programmazione variegata e multidisciplinare porta in scena mostre, performance, vini naturali, musica, cinema, cucina dal mondo e incontri editoriali.
Sergey Kantsedal è curatore e direttore artistico di Barriera, spazio indipendente con sede a Torino. Attraverso una programmazione di mostre e progetti a lungo termine, l’istituzione promuove il dialogo tra artisti, curatori, collezionisti e incoraggia contaminazioni con altri contesti culturali e discipline. Un tema ricorrente nella sua ricerca è l’eredità dell’ex blocco sovietico, esplorata nelle sue implicazioni contemporanee in termini di identità culturale, politica e di genere. Ha collaborato con numerose istituzioni pubbliche e private, in Italia e all’estero, tra cui: Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, OGR Torino, Salzburger Kunstverein, Triennale Milano, MUDEC, Fabbrica del Vapore, Cittadellarte – Fondazione Pistoletto, MAMbo, PinchukArtCentre e National Art Museum of Ukraine.

